Disturbo del comportamento alimentare
Collaboro insieme alla Dott.ssa Biologa Nutrizionista Lucia Vicentini presso lo studio Prospettiva, seguiamo il paziente dal punto di vista psicologico e corporeo.
Come psicoterapeuta mi capita di trattare i disturbi del comportamento alimentare, ossia quelle problematiche che si manifestano in un rapporto disfunzionale con il cibo. Le primarie disfunzioni alimentari riguardano i seguenti quadri clinici:
– binge-eating desorder
Dott. ssa Angela Chiericati
Psicologa e Psicoterapeuta
Dott.ssa Lucia Vicentini
Biologa Nutrizionista
Disturbo da anoressia nervosa
Questo disturbo può essere riconosciuto attraverso i seguenti campanelli di allarme:
1. restrizione delle calorie giornaliere assunte, connessa ad una significativa perdita di peso in base agli standard di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica
2. intensa paura di ingrassare o prendere peso anche se oggettivamente si è sottopeso e non è placata dalla perdita di peso
3. alterazione nella valutazione e nella percezione del peso o della figura corporea che incide sui livelli di autostima e non riconoscere la propria situazione di sottopeso grave
4. è diagnosticabile dopo almeno tre mesi dall’insorgenza dei sintomi
Chi soffre di questo disturbo tende a perdere peso tramite due condotte principali:
– condotte restrittive: caratterizzate da restrizione del cibo assunto ed eccessiva attività fisica
– condotte di eliminazione: caratterizzate da abbuffate durante i pasti seguite da vomito autoindotto ed uso di lassativi con comorbidità (compresenza) di disturbi della personalità e fobia sociale
“Spesso le pazienti passano dalle condotte restrittive a quelle di eliminazione”
L’anoressia nervosa presenta alcune caratteristiche principali come:
– amennorea ovvero l’assenza del ciclo mestruale per tre mesi consecutivi
– intensa paura ad acquisire peso
– distorsione nella percezione e valutazione del corpo
– la perdita di peso viene considerata un segno di disciplina e autocontrollo
L’esordio solitamente avviene nella prima fase dell’adolescenza o nella prima età adulta dopo aver intrapreso una dieta e sono i familiari a rivolgersi per primi ai clinici preoccupati per la marcata perdita di peso poiché le pazienti sono per lo più inconsapevoli o negano l’esistenza del problema. L’aspetto più difficile e principale da trattare è la percezione distorta che la persona ha del proprio corpo però è dimostrato che la guarigione si aggira intorno al 50-70% dei casi sebbene la mortalità per questo disturbo è 10 volte maggiore rispetto alla popolazione e il doppio rispetto a chi soffre di altri disturbi psicologici.
Come si cura?
Per la strutturazione di un percorso di cura efficace e funzionale è importante arrivare in tempo ad una corretta diagnosi differenziale (cioè capire se si soffre di un vero e proprio disturbo dell’alimentazione), di effettuare tutte le valutazioni specialistiche necessarie (psicologiche, psichiatriche, internistiche e nutrizionali) e di ricevere indicazioni corrette sul trattamento da seguire.
Tale trattamento dev’essere imprescindibilmente multi specialistico (per tale motivo come professionista, nella presa in carico del paziente, mi attivo con altri specialisti per un percorso che incroci consulenze psichiatriche e consulenze nutrizionali).
Il trattamento dei disturbi dell’alimentazione può essere svolto, a seconda delle necessità, in modo più o meno intensivo. E’ sempre una buona regola iniziare, salvo specifiche controindicazioni, dal trattamento meno intensivo (ossia il trattamento ambulatoriale) perché è il trattamento più efficace e quello che interferisce meno con la vita sociale della persona. Il trattamento ambulatoriale si può quindi considerare il trattamento di prima scelta: solo nei casi molto acuti o in quelli in cui il trattamento ambulatoriale non ha funzionato dovrà essere preso in considerazione un trattamento più intensivo, come il trattamento semi-residenziale in day-hospital o il trattamento residenziale.
In questo quadro la psicoterapia rappresenta un elemento molto importante nell’individuazione delle sottostanti del disturbo specifico e nella ridefinizione delle strutture di pensiero che lo mantengono.Lo psicoterapeuta infatti mira a considerare il sintomo come un’attiva strategia del paziente per dare significato e coerenza alla propria esistenza. Ciò permette, passando dal piano del comportamento alimentare a quello dell’identità personale, di privilegiare temi legati alla costruzione del Sé.
È indispensabile prestare una particolare attenzione alla gestione della relazione terapeutica in considerazione della peculiare sensibilità di questi pazienti al giudizio dell’altro e della loro spiccata tendenza a compiacere le aspettative altrui.
Alcune mie considerazioni:
I dati empirici suggeriscono che, in alcuni pazienti con disturbo dell’alimentazione, sono possibili un alto funzionamento e una personalità perfezionista, sia in adolescenza che in età adulta.
L’esordio dell’anoressia è spesso associato a un evento di vita stressante, come lasciare la casa di famiglia per andare al college, avere conflitti familiari, o l’esperienza di una perdita.
La bulimia frequentemente inizia quando una persona passa dalla prima adolescenza alla tarda adolescenza, con difficoltà a gestire il progressivo emergere della sessualità. I sintomi spesso compaiono durante o dopo una dieta.
Disturbi del comportamento alimentare: parliamo di bulimia nervosa
Le primarie disfunzioni alimentari riguardano i seguenti quadri clinici:
– anoressia nervosa
– bulimia nervosa
– binge-eating desorder
Questo disturbo può essere riconosciuto attraverso i seguenti campanelli di allarme:
1. ingestione in meno di due ore di una quantità di cibo esagerata per la persona e per il contesto. Ciò solitamente avviene in solitudine e si associa ad una sensazione di perdita del controllo. L’episodio termina perché non c’è più nulla da mangiare o per la sensazione di pienezza, con conseguente malessere fisico
2. l’abbuffata viene compensata da condotte di eliminazione ( vomito auto-indotto, assunzione di diuretici e lassativi) o da esercizio fisico compulsivo per prevenire l’aumento del peso quindi in questo caso il paziente è normopeso
3. affinché la bulimia venga diagnosticata bisogna che le abbuffate e i comportamenti di compensazione siano presenti almeno una volta a settimana e per almeno tre mesi
La gravità del disturbo è correlata alle volte in cui si mettono in atto condotte di compensazione e abbuffate quindi si avrà una bulimia nervosa:
– lieve quando gli episodi sono da una a tre per settimana
– moderata quando gli episodi sono da quattro a sette per settimana
– grave quando gli episodi sono da otto a tredici per settimana
– estrema quando gli episodi sono più di quattordici a settimana
Gli episodi sono causati da stress, depressione, insoddisfazione o dalla fame dopo un periodo di digiuno, l’umore durante le abbuffate è positivo ma successivamente nascono sentimenti di vergogna e autocritica.
Le pazienti danno eccessiva importanza al peso forma tanto che il loro umore è completamente dipeso dalla loro massa.
L’esordio della malattia è generalmente tra la tarda adolescenza e la prima età adulta con un’incidenza dell’1-2% nella popolazione tipicamente femminile che prima dell’insorgenza erano spesso sovrappeso e quindi non si piacevano in uno stretto legame con la depressione infatti i sintomi di una sono predittivi dell’altra.
Le conseguenze della bulimia sul piano medico riguardano l’uso spropositato di diuretici/lassativi che può causare alterazioni elettrolitiche, aritmie e complicanze renali; nelle donne sono spesso presenti irregolarità del ciclo mestruale e talvolta anche amenorrea.
Inoltre dato che la tecnica di eliminazione preferita è il vomito, normalmente auto-indotto, si possono verificare complicanze e lacerazioni esofagee.
I fattori di rischio per la comparsa della bulimia sono:
– fattori comportamentali: preoccupazione eccessiva per il peso, bassa autostima, depressione, ansia sociale
– fattori ambientali: internalizzazione dell’idea che il corpo magro sia perfetto
– fattori genetici: obesità infantile, vulnerabilità genetica
Come si cura?
Tale trattamento dev’essere imprescindibilmente multi specialistico (per tale motivo come
professionista, nella presa in carico del paziente, mi attivo con altri specialisti per un percorso che incroci consulenze psichiatriche e consulenze nutrizionali).
Il trattamento dei disturbi dell’alimentazione può essere svolto, a seconda delle necessità, in modo più o meno intensivo. E’ sempre una buona regola iniziare, salvo specifiche controindicazioni, dal trattamento meno intensivo (ossia il trattamento ambulatoriale) perché è il trattamento più efficace e quello che interferisce meno con la vita sociale della persona.
Il trattamento ambulatoriale si può quindi considerare il trattamento di prima scelta: solo nei casi molto acuti o in quelli in cui il trattamento ambulatoriale non
ha funzionato dovrà essere preso in considerazione un trattamento più intensivo, come il trattamento semi-residenziale in day-hospital o il trattamento residenziale.
In questo quadro la psicoterapia rappresenta un elemento molto importante nell’individuazione delle sottostanti del disturbo specifico e nella ridefinizione delle strutture di pensiero che lo mantengono.
Lo psicoterapeuta infatti mira a considerare il sintomo come un’attiva strategia del paziente per dare significato e coerenza alla propria esistenza. Ciò permette, passando dal piano del comportamento alimentare a quello dell’identità personale, di privilegiare temi legati alla costruzione del Sé.